Asana

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Asana: il corpo come luogo di esperienza e di conoscenza.

C’è un gesto che quasi tutti compiamo quando qualcuno ci chiede chi siamo.
Con un movimento rapido della mano ci indichiamo il petto o tutta l’estensione della nostra altezza.
Eccoci.
Da capo a piedi, con tutte quelle caratteristiche che riconosciamo essere tutte nostre, come il colore dei capelli, i lineamenti del viso, le forme del corpo.
Eppure tante volte ciò che indichiamo come noi, ciò che tanto bene crediamo di conoscere, non è che un riflesso esterno. Come quello dello specchio, a cui spesso guardiamo cercando conferme e corrispondenze con le idee e gli ideali che nutriamo su come e su chi dovremmo essere.

Non è difficile riconoscere quante aspettative ci abitino. Tutti, uomini e donne, come un’istanza a dover essere perennemente giovani, agili, in forze, piacenti e produttivi.  Possiamo riconoscere come spesso la nostra scelta di un’attività fisica nasca proprio dalla nostra volontà di adeguarci ad un modello di bellezza o di prestanza. Anche l’approccio allo Yoga risente in molti casi di questa attitudine che mette in luce l’aspetto più atletico e performativo della pratica attraverso l’esibizione di corpi giovani e flessuosi impegnati in posizioni spesso anche molto difficili.

Asana e interezza: la via dello Yoga

Nei testi più antichi riferiti alla pratica dello Yoga i riferimenti alle posizioni e a tutto ciò che concerne l’abilità corporea sono in realtà pochi e ben circostanziati. Ci riferiamo in particolare agli Yoga Sutra di Patanjali[1]  che nei nostri articoli stiamo poco a poco esplorando (v. Yoga e EticaYama, la relazioneNiyama, la nostra relazioneIl respiro dello Yoga).

È ben chiaro, fin dalla prima frase. Fin da quel “ora che siete pronti sarete introdotti allo Yoga” (Atha yoga-anusasanam, Y.S. I.1).
È evidente che siamo chiamati in causa in tutta la nostra interezza. Siamo qui, ora, perché il nostro corpo è ora, qui, il luogo della nostra esperienza, lo spazio del nostro essere presenti al mondo, proprio adesso, proprio così.
Paradossalmente è proprio quando siamo richiamati ad esserci totalmente che accorgiamo che non sempre sappiamo davvero chi siamo. Realizziamo che quel corpo che tanto facilmente indichiamo con il nostro nome è spesso un luogo sconosciuto. Un luogo abitato da forze interne ed esterne a noi. Un corpo attraversato e modellato da ciò che facciamo, ma anche da ciò che accade al di là della nostra volontà, come le nostre funzioni vitali.

Intensità e agio

Il primo invito che la pratica dello Yoga sembra farci è un invito a fermarci e a domandarci chi siamo. Ci propone di partire dalle condizioni in cui ci troviamo per renderci disponibili a un percorso che poco a poco ci permetterà di riscoprirci più interi.

Tutto, infatti, di noi viene poco a poco interrogato nelle parole di Patanjali. Il nostro sguardo verso il mondo. I nostro comportamento. Le nostre relazioni. I nostri fattori mentali. La nostra postura.

In un’ottica che non è mai correttiva, ma che in qualche modo vuole evidenziare un potenziale umano di crescita e di conoscenza.
L’aspetto più corporeo ha in questa visione un ruolo centrale. Viene posto al centro per evidenziare che la vita umana non è mai solo vita pensante, ma è vita agita, respirata, incarnata.

Tuttavia bastano poche parole per definire Asana, le posizioni.  Parole che non evidenziano gli aspetti quantitativi, ma qualitativi: sthira-sukham-asanam (Y.S. II. 46).
C’è Asana quando c’é insieme agio e intensità; quando ci si abita pienamente, ma senza sforzo. C’è Asana quando il fare e il farsi attraverso il movimento sembrano sospendersi in un equilibrio vivo di istante in istante.

Ci addentriamo qui in un territorio difficile da nominare, che può essere soltanto evocato e riconosciuto, intuito, attraverso l’esperienza di ciascuno di noi sul tappetino.

Le parole di Patanjali infatti possono risultare enigmatiche o misteriose. Questo soltanto finché la luce della nostra stessa esperienza non le illumina e non restituisce loro concretezza.
Perché sono parole che hanno corpo e che restituiscono al nostro corpo una lingua per dirsi nella sua vastità e nel suo irriducibile mistero.

 

Testo curato da Virgina Farina, per le insegnanti Scuola di Yoga Centro Natura


[1] Vi sono innumerevoli traduzioni del testo di Patanjali. Per chi desiderasse approfondire segnaliamo che le  edizioni degli Yoga Sutra a cui qui si fa particolare riferimento sono: Gli YOGA SUTRA di Patanjali – La coscienza dell’Essere PRIMA PARTE: Libri I° e II° a cura di Moiz Palaci e Renata Angelini;  Gli YOGA SUTRA di Patanjali – Uno sguardo nel profondo SECONDA PARTE: Libri III° e IV° a cura di Moiz Palaci e Renata Angelini. Si consiglia anche la lettura dell’edizione a cura di Federico Squarcini e l’approfondimento di Vimala Thakar Lo yoga oltre la meditazione. Sugli Yoga sutra.

 

Asana – Scuola di Yoga Bologna