PRACIN YOGA (LO YOGA ANTICO), OSSIA TAPASYĀ, PRATICHE ASCETICHE TRADIZIONALI E LA RELAZIONE CON LO YOGA.
dialogo con Daniela Bevilacqua
a cura di Virginia Farina per il Centro Natura
Per quanto il cuore dell’esperienza dello yoga sia nella pratica viva che facciamo nei nostri percorsi, a volte è davvero importante spostarci dalla prospettiva del nostro tappetino per guardare alla complessità storica e antropologica dei mondi che si aprono dietro alla parola connettore “yoga”.
Daniela Bevilacqua, giovane indianista, porta con sé uno di questi sguardi profondi capaci di ricollegare le tradizioni ascetiche più antiche con l’osservazione dei movimenti sociali e religiosi della turbolenta India contemporanea, dove i culti si mescolano spesso a rivendicazioni politiche.
Terrà ad aprile per Centro Natura due seminari teorici su Pracin Yoga (lo yoga antico), focalizzandosi sulla relazione tra tapas, tapasya (ovvero pratiche di austerità) e lo yoga*.
Prima di questi incontri abbiamo voluto parlare un po’ con lei dei temi che ci presenterà, contattandola in India, dove ora si trova per una ricerca sul campo.
Ne è nata questa intervista che speriamo troverete interessante.
Buona lettura!
Virginia
Ciao Daniela! Grazie per la tua disponibilità. Prima di addentrarmi nel tema dei nostri seminari, vorrei iniziare con una piccola presentazione di te, del tuo percorso di studi e del tuo percorso di viaggio: vuoi raccontarci anche dove ti trovi ora e su cosa stai facendo ricerca?
Daniela
Ho studiato Lingue e civiltà orientali alla Sapienza a Roma e il mio piano di studi è sempre stato incentrato sull’India. Mi sono interessata in particolare al contemporaneo, approfondendo il fenomeno del fondamentalismo hindu e l’interconnessione tra religione e politica, oggi purtroppo all’ordine del giorno. In pratica mi sono concentrata sulle vicende che hanno coinvolto la moschea di Ayodhya (distrutta nel 1992 da fondamentalisti hindu che la ritenevano costruita sui resti di un antico tempio indù dedicato a Rama).
Ho fatto poi il dottorato in cotutela con l’Università di Paris Nanterre, durante il quale ho analizzato le vicende storiche e contemporanee di uno degli ordini ascetici religiosi più diffusi nel nord dell’India e incentrato sul culto di Rama, l’ordine dei Ramanandi. Questo studio mi ha poi permesso di collaborare con l’Hatha Yoga Project, guidato da James Mallinson all’Università SOAS di Londra, che mi ha consentito di estendere le mie attività di ricerca etnografica ad altri ordini religiosi e alle loro pratiche ascetiche in diverse zone dell’India. Ora sono impegnata in una ricerca, che proseguirà per altri sei anni, sul Kinnar akhara, un ordine recente di persone di genere non conforme, che ha sbaragliato il contesto ascetico ortodosso indù estremamente maschile e patriarcale.
Virginia
Da quello che ci hai raccontato è attraverso lo studio dei gruppi ascetici e delle loro pratiche che hai incontrato dal vivo il concetto di tapas. Visto che questo è anche uno dei concetti cardine dello yoga ti chiederei di espanderlo per aiutarci a guardarlo in tutta la sua ricchezza di significati.
Daniela
Tapas indica in senso letterale una forma di calore. Questo concetto insieme a quello di tapasya, ossia austerità, vengono poi assimilati in un contesto ascetico, lo stesso contesto da cui si sviluppa lo yoga. Così quando si parla della storia della yoga bisogna considerare la relazione con il tapas. Essendo temi fondamentali della cultura religiosa indiana, sono stati adottati e adattati a contesti e storie differenti e questo è un elemento di cui tenere conto perché, come cerco sempre di sottolineare, le tradizioni e i loro termini di riferimento non rimangono mai inalterati in quanto frutto delle interpretazioni delle persone che le vivono. Per questa ragione possiamo anche parlare di un’interpretazione moderna di tapas e tapasya, attraverso cui insegnanti di yoga moderno hanno cercato di esprimere i loro insegnamenti.
Come vedremo nei seminari, tapas indica il fervore, la generazione di calore attraverso un ‘attrito’, un mettere alla prova i limiti del corpo, andando al di là delle capacità umane, calore che si attiva da una sorta di resistenza, dall’andare contro le naturali tendenze del corpo, controllandolo e disciplinandolo. Coloro che generano tapas, anche nelle fonti più antiche, si sottopongono a condizioni estremamente intense, da un punto di vista sia fisico che mentale.
Nell’ambito ascetico queste pratiche sono eseguite per uno scopo soteriologico, mirano, cioè, a moksha, alla liberazione dal ciclo delle reincarnazioni. Il tapas a cui fa riferimento Patanjali non si rifà alle pratiche estreme che ritroviamo nei testi più antichi ma piuttosto si avvicina all’interpretazione presente nelle Upanisad. Il significato di tapas si amplia così da includere non solo austerità fisiche ma anche una disciplina morale. Queste varie accezioni di tapas si mantengono, motivo per cui troviamo ancora gruppi ascetici in cui i praticanti continuano a sottoporsi a condizioni fisiche particolarmente intense.
Questi termini, come la stessa parola ‘yoga’, sono così pieni di stratificazioni che la generalizzazione porterebbe alla banalizzazione. L’importante è sempre avere piena consapevolezza del loro sviluppo storico e della nostra storicità, cioè del fatto che per un praticante di yoga oggi il suo relazionarsi con questa parola deve essere contestualizzato al mondo attuale, ossia bisogna essere consapevoli che l’idea di tapas presentata da insegnanti come Iyengar e Pattabhi Jois è una reinterpretazione moderna del concetto di tapas.
Virginia
Abbiamo quindi capito che non è possibile definire in modo univoco tapas e tapasya. Mi piacerebbe soffermarci ancora un momento sulla declinazione di tapas che ci dà Patanjali. Negli Yogasutra questo concetto compare due volte, quando Patanjali ci introduce al Kriya yoga e all’interno dei niyama, ed è chiaro che Patanjali lo considera uno dei principi fondamentali della via dello yoga. Quanto nella sua visione si rifà a pratiche corporee e quanto può essere considerato come un’istanza morale?
Daniela
In realtà un approccio più morale è già presente sia nelle Upanisad che nella Bhagavad Gita. Nella letteratura vedica la descrizione delle austerità è sempre connessa a motivi pragmatici: ottenere poteri, fertilità, progenie ed è soltanto successivamente che, essendo cambiato il contesto religioso, si inseriscono altre tematiche. La Bhagavad Gita, che nasce con un forte intento politico di sostegno all’ottica brahminica, e in opposizione all’ascetismo come rinuncia alla società civile, porta le pratiche di tapas ad una disciplina di corpo, mente e parola allontanandosi dalle pratiche più estreme. La visione di tapas in Patanjali ci riporta nel contesto ascetico: la pratica di yoga avviene in tale contesto (tapas infatti è sinonimo di ascetismo), ma non necessita delle pratiche più estreme. L’obiettivo del tapas (ascetismo) di Patanjali e del suo metodo (yoga) è il distacco (kaivalya) della prakriti (materia) dal purusha (il principio universale). Questo rappresenta la interpretazione di moksha in Patanjali. Bisogna ricordare che nel contesto indiano il percorso spirituale di un individuo, sebbene si sviluppi secondo le caratteristiche dell’individuo, non è mai avulso da un contesto religioso specifico: un praticante cerca determinati risultati che dipendono dall’ordine a cui appartiene. Quindi ordini ascetici diversi avranno obiettivi diversi e interpreteranno le loro pratiche in modo differente.
Virginia
Per concludere questa nostra carrellata, mi piacerebbe ritornare sulla visione di tapas nello yoga moderno, la forma di yoga in cui noi siamo immersi.
Daniela
Nel contesto contemporaneo dello yoga moderno la disciplina ha ancora un peso importante, ma è una disciplina che si ‘autoimpone’ il praticante, che non prevede il rispetto stringente di regole fisse, come invece accadeva e accade ancora nel mondo ascetico. L’approccio al tapas dello yoga moderno ha spesso una dimensione corporea molto importante, a volte sviluppata in modo indiretto, come accade nell’hot yoga di Bikram, dove il calore viene sviluppato anche grazie all’intervento sulle condizioni ambientali, o estremante diretto, come nell’hatha yoga trasmesso da Pattabhi Jois per cui tapas si manifesta da segni evidenti del corpo, come il sudore. Disciplina e difficoltà fisica coesistono nel suo approccio agli asana, generando un calore concreto che viene poi reinterpretato dal praticante su un piano più profondo.
Virginia
Daniela, più ti ascolto e più mi vengono in mente nuove domande. È interessantissimo potersi avvicinare da praticanti a aspetti molto lontani da ciò che conosciamo, e al tempo stesso estremante connessi a ciò che anche nelle nostre pratiche sperimentiamo. Ma per ora dobbiamo fermarci e rimandare ai tuoi seminari ulteriori approfondimenti e chiarimenti. Grazie, intanto, per averci portato un po’ in viaggio con te. A presto!
Daniela
Grazie a voi. Capisco che non sia facile comprendere il senso e l’evoluzione di tapas! Spero avendo decisamente più tempo di poter approfondire con voi durante i seminari.
A presto allora!
* I seminari con Daniela Bevilacqua si terranno online domenica 7 e 14 aprile dalle 9 alle 12. Per dettagli sui contenuti e informazioni su costi, iscrizioni e altro vedi qui