I cakra come percorso di conoscenza

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I cakra come percorso di conoscenza.
Dialogo con Marilia Albanese

a cura di Virginia Farina per il Centro Natura

 

Quando sentiamo parlare di cakra* la prima cosa che probabilmente ci viene in mente è una particolare combinazione di forme e colori, e insieme tutta una rete di corrispondenze corporee, emotive ed energetiche che immaginiamo capaci di risvegliare in noi straordinari poteri. I cakra, infatti, sono da anni entrati nel nostro immaginario attraverso una visione spesso semplificata, che rimescolando riferimenti a volte lontanissimi, come potenze angeliche o sistemi astrali, ne fa luoghi da stimolare e risvegliare anche solo con un profumo, un cibo, un colore o qualche rapido esercizio.

Ma siamo certi che il sistema dei cakra si riduca a questa visione? Come praticanti è fondamentale non fermarci alla superficie delle cose, ma interrogarle insieme a chi le studia con serietà da una vita per poi guardarle più in profondità alla luce della nostra stessa esperienza. Solo così possiamo trasformare uno stereotipo in una comprensione vivente.

Abbiamo, per questo, deciso di fare una chiacchierata con Marilia Albanese, che ha dedicato al tema dei cakra importanti studi e pubblicazioni, e che insieme a Suzann Jonsson condurrà presso il Centro Natura il seminario pratico-teorico di hatha yoga dal titolo Cakra: un viaggio nel corpo simbolico e fisico, nel quale approfondirà l’aspetto simbolico dei cakra e la relazione con aspetti profondi della psiche.

Buona lettura, e buona pratica!

 

1.      Innanzitutto La ringraziamo, Marilia, per aver accettato il nostro invito a fare questa intervista. Per me e per noi questo confronto è un’occasione davvero preziosa, perché la Sua esperienza di ricercatrice e docente ci permette di fare luce su uno tra gli aspetti più complessi e fraintesi dello yoga: il sistema dei cakra.

Alcune interpretazioni contemporanee hanno generato un immaginario dei cakra fondato su un concetto piuttosto vago di energia e di corrispondenze tra forme, colori e simboli, riprendendo e sintetizzando spesso tradizioni diverse che vanno dalla new age alla psicoanalisi. Quali sono i differenti approcci, dentro e fuori lo yoga, ai cakra e alla dimensione energetica, se così possiamo definirla, dell’esperienza corporea?

Direi che sono essenzialmente due: l’approccio filologico, che si avvale di testi in sanscrito e, in alcuni casi, nelle lingue vernacolari dell’India; l’approccio interpretativo, che rilegge i cakra alla luce delle correnti contemporanee, in primo luogo new age e psicologia. Il primo approccio, più accademico, permette di conoscere come i cakra vengano presentati nelle varie opere prese in considerazione e in che contesto culturale si situino, fornendo la base da cui partire per ulteriori studi ed esperienze. L’approccio interpretativo, indubbiamente affascinante e ricco di possibilità, si avvale della vastissima iconografia dei cakra per proporre particolari interpretazioni che sono letture personali dello studioso e del praticante, in quanto nella maggior parte dei casi il mondo indiano descrive, ma non fornisce spiegazioni sul perché di una scelta iconografica. Mi spiego con un esempio: nel mūlādhāra cakra si dice che vi sia il dio Brahmā fanciullo, ma cosa ciò significhi non è specificato. Si può dunque ipotizzare in questo dato un rimando alla dimensione infantile presente in tale livello dell’essere: e questo è legittimo, soprattutto se supportato dall’esperienza personale.

2.      Credo, a questo punto, che sia importante definire i cakra secondo un minimo comune denominatore che ci permetta di intenderci su cosa sono e cosa rappresentano. Nei Suoi saggi spesso Lei ne parla come simboli e “luoghi” che fanno da soglia alla nostra esperienza fuori e dentro di noi, centri dove si incontrano le spinte centripete che ci richiamano a una dimensione di assoluto e quelle centrifughe che ci aprono all’azione nel mondo. Come possiamo identificarli e farne una mappatura?

Servendosi dei testi, che devono sempre essere il punto di partenza, perché i cakra sono il prodotto di una precisa cultura con tutte le sue sfaccettature e devono prima di tutto essere inquadrati in essa. Una volta conosciuta l’iconografia dei cakra – i testi la descrivono dettagliatamente, ma quasi mai ne danno interpretazioni – si possono proporre riletture che si basano sui simboli in essi raffigurati. Non va comunque dimenticato che, malgrado in Occidente si privilegi il sistema dei sette cakra illustrato nella traduzione del Ṣaṭcakra-nirūpana in coda a “Il potere del serpente” di Arthur Avalon, vi sono molti altri raggruppamenti e collocazioni.

3.      Il contesto simbolico originario, il pensiero e la visione che sono dietro il sistema dei cakra, esprimono una cultura ben definita, che ha la sua matrice nello yoga tantrico induista e nel suo caleidoscopio di divinità. Può raccontarci in sintesi come nasce e si mette a punto il pensiero e l’esperienza dei cakra?

I cakra si collocano nella rappresentazione del corpo yogico, una struttura somatica sottile, visualizzata tramite una serie di complesse pratiche psicofisiche di difficilissima realizzazione. L’ambito di sviluppo di tali concezioni è il Tantrismo, convinto di una giacenza energetica inutilizzata e negletta nell’uomo che può essere attivata e controllata.  I cakra, sorta di luoghi di “tangenza” fra microcosmo e macrocosmo, costituiscono una mappa dell’ascesa di questa energia, simbolicamente rappresentata da Kuṇḍalinī, la divina potenza femminile, Śakti, che ha manifestato il mondo ed è “precipitata” dimentica di sé nello strato più basso dell’Essere. Lo yogin la induce a ridestarsi e al seguito della Dea raggiunge l’ultima stazione, sahasrāra, il loto a mille petali, ove Kuṇḍalinī si congiunge con lo sposo Śiva, ripristinando l’unità originaria.

4.      Mi chiedo, a volte, come possiamo avvicinarci a un mondo tanto affascinante quanto distante dal nostro. Credo che la visione del mondo tradizionale indiano non sia sempre del tutto comprensibile ed avvicinabile per un occidentale. Essa si fonda su simboli e archetipi espressi spesso da divinità che non possiamo riprendere e copiare in modo acritico. Come possiamo, allora, fare nostro questo universo simbolico in modo autentico e rispettoso?

Rifacendoci all’essenza contenuta nella forma. Ad esempio Durgā, la dea guerriera che distrugge i demoni e difende l’ordine cosmico, ha come qualità fondamentali il coraggio, la forza, la determinazione, caratteristiche tipiche delle divinità combattenti che troviamo anche in altre culture.  Malgrado dunque le diversità di rappresentazione e i miti fortemente connotati dall’ambito di provenienza, le divinità indiane esprimono modalità di essere trasversali al mondo indo-europeo, anche perché si ricollegano agli archetipi.

5.      Lo yoga è l’unione di pensiero e azione, di comprensione e pratica, è quindi importante portare queste riflessioni sul tappetino per farne davvero esperienza. Lei accompagna spesso i Suoi seminari e i Suoi insegnamenti con pratiche di concentrazione attraverso il respiro nei punti dove i cakra si “manifestano”. Possiamo dire che i cakra siano anche luoghi del sentire?

Indubbiamente: il loro utilizzo nell’ambito dello yoga occidentale contemporaneo offre un ancoraggio corporeo che non si prefigge tanto di andare oltre la dimensione fisica, quanto di esplorarla in tutte le sue possibilità. Il cakra, con i molti rimandi e le connessioni con i vari piani dell’essere – microcosmico e macrocosmico – è luogo di diverse modalità e gradazioni di esperire. Il sistema dei sette cakra è collegato con gli elementi cosmici, le loro caratteristiche, gli organi di senso che le colgono, gli organi d’azione che rispondono alle sensazioni registrate, la mente che coordina, il senso dell’io che personalizza, l’intelletto che rimanda alla dimensione universale. Ed è costellato di varie immagini divine che con la loro simbologia permettono letture psicologiche di vasta portata. Per questo possono fungere da casse di risonanza del nostro sentire.

6.      Le pratiche che propone mi sembra siano spesso dedicate ai primi tre cakra, ovvero a quelle energie che ci “incarnano” e ci radicano nel mondo. Ho l’impressione che per poterci davvero avvicinare al sacro, a ciò che in esso brucia ed è irriducibile alla nostra ordinaria visione delle cose, sia necessario avere letteralmente i piedi per terra, farci presenza al mondo e nel mondo, è così?

In effetti sono tutti e cinque i cakra legati agli elementi che costituiscono il cardine dei miei incontri. Ho sperimentato nel corso di più di quarant’anni quanto il lavoro su di essi favorisca una maggiore consapevolezza di sé, un più sereno interagire con gli altri e un più proficuo operare nel mondo. Del resto, per me, l’insegnamento più importante dell’aṣṭāṅgayoga di Patañjali rimane la pratica di yama e niyama, in quanto fattori imprescindibili per una presenza responsabile nella vita. E dato che Lei parla di avere i piedi per terra, personalmente ritengo che non si possa dare la scalata al cielo se non si è fortemente radicati alla terra. Riferendoci espressamente al mondo indiano, nessuna divinità viene raffigurata senza il suo piedestallo, pīṭha, e il primo cakra, mūlādhāra, non è solo mūla, radice, ma anche ādhāra, base.

7.      Per finire vorrei chiederLe come è nato, nel Suo percorso e nella Sua ricerca, l’interesse per questo particolare aspetto dello yoga, e come ha cambiato il Suo modo di essere, nella pratica e nell’insegnamento e, forse, anche nella vita.

All’inizio mi sono particolarmente interessata all’arte hindu, anche per via dei molti viaggi fatti in India accompagnando in qualità di cultrice della materia gruppi di studio sull’architettura. Nell’arte indiana è fondamentale l’aspetto simbolico e direi che è stato proprio il simbolo a costituire il collegamento con l’iconografia del mondo yogico. Inoltre, avendo conseguito anche una specializzazione in counseling, ho approfondito gli studi psicologici in ambito indiano e ho rilevato come molte pratiche yogiche, soprattutto riferite al mondo della psiche, potessero essere riproposte in ambito occidentale. Il miglior supporto per farlo, visto il mio percorso, sono stati proprio i cakra, poiché nelle loro raffigurazioni i simboli offrono valenze trasformative e rigenerative. In una parola: il potere curativo delle immagini.

 

Marilia Albanese

Laureata in Sanscrito e Indologia e diplomata in Lingua Hindi e Cultura Indiana, è stata direttore della sezione lombarda dell’Is.I.A.O. (Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente) presso l’Università degli Studi di Milano fino al 2011, data della chiusura dell’Istituto. Per dieci anni presidente della YANI (Yoga – Associazione Nazionale Insegnanti), presso le scuole di formazione quadriennale di tale istituzione continua a condurre corsi di cultura indiana. Ha curato esposizioni e mostre sull’India, paese nel quale si è recata una quarantina di volte. È stata docente di Arte Scenica Indiana al Conservatorio di Vicenza “Arrigo Pedrollo” nell’ambito della facoltà di Tradizioni Musicali Extra-europee a Indirizzo Indologico. È fondatrice e segretario di AsiaTeatro, primo sito e rivista online in lingua italiana sui teatri asiatici. Attualmente è docente a contratto presso il Dipartimento di Lingue, Letterature, Culture e Mediazioni dell’Università degli Studi di Milano e tiene corsi di Induismo e Buddhismo presso l’UTE, Università del Cardinal Colombo a Milano. Conduce seminari e corsi presso varie Istituzioni. È autrice di numerosi articoli, saggi e libri.

 

* Sappiamo che il termine cakra si trova prevalentemente indicato con la ‘h’, ma il termine sanscrito in alfabeto devanagari è scritto: चक्र quindi si traslittera cakra perché la ‘c’ non è aspirata.

   La ‘c’ aspirata è e in tal caso si traslittera: ch