Yoga la via dell’esserci

Yoga la via dell’esserci.

Esserci: dalla dispersione all’incontro con noi stessi.

E’ un percorso in un terreno senza sentieri lo Yoga. I testi, le indicazioni degli insegnanti e dei Maestri che ci fanno da guida somigliano più alle stelle del cielo che a segni nel terreno. Impariamo ad orientarci e a procedere guardando ora verso l’alto, ora verso i nostri piedi. Piedi che corrono, incespicano, inciampano, ci fanno cadere e di nuovo ci sollevano.

Lo Yoga è un percorso che si fa via via più chiaro e semplice man mano che procediamo, ma al tempo stesso più esigente. Sentiamo che a una certa profondità le parole sembrano non bastarci più e hanno bisogno allora di essere riprese. Ad una ad una per essere ripulite da tutta la polvere dei sensi comuni e degli automatismi che nel tempo abbiamo lasciato vi si depositassero sopra.

Abbiamo bisogno di parole che accolgano la rotondità e la vividezza dell’esperienza. Termini che non la confinino, che ne rendano la complessità, la contemporaneità di eventi e di opposizioni che in essa dialogano senza conflitto. Forse è proprio per questa ragione che gli Yoga Sutra di Patanjali ancora dopo secoli e secoli sono capaci di parlarci. L’esperienza e la testimonianza dei praticanti di allora non si sono esaurite in descrizioni precise come dogmi. Bensì hanno tracciato direzioni, piste, da verificare e riscontrare nella dimensione interiore dell’ascolto come in quella esteriore dell’insegnamento.

Il nostro percorso negli Yoga Sutra entra, dopo aver parlato di Asana, in una sfera più intima. Ci porta in una dimensione dell’interiorità che possiamo comprendere davvero mano a mano che la pratica traduce in esperienze dirette e significati alcuni dei termini più ricorrenti. Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana e Samadhi: concetti che le diverse tradizioni di Yoga hanno caricato di differenti sfumature. Non è questo lo spazio giusto per addentrarci nell’analisi delle diverse interpretazioni. Possiamo sinteticamente dire che Pranayama viene riferito al controllo del respiro e quindi alla relazione con esso. Pratyahara viene tradotto come un ritirarsi dai sensi. Dharana come concentrazione. Dhyana come ascolto meditativo. Samadhi come quella condizione di liberazione della sofferenza che si sperimenta a compimento del percorso.

Il corpo come luogo di accensione di uno sguardo nuovo.  Yoga la via dell’esserci.

Attraverso l’incontro con Asana, dunque, è come se ci fosse un capovolgimento. Una soglia che permette il passaggio dal mondo esterno e dalle nostre relazioni con esso. Possiamo avere accesso alla vastità di un mondo interiore che va al di là della dimensione psichica e biografica per incontrare qualcosa di universale.

Procediamo in questo mondo seguendo il filo sottile del nostro respiro, accorgendoci di quanto esso sia intimamente e indissolubilmente connesso con la nostra mente. Quanto più esso diventa profondo e pacificato tanto più la nostra mente torna ad essere chiara e spaziosa. Quanto più diventiamo familiari con esso, tanto più ci scopriamo coscienti e consapevoli del tutto. Non soltanto concentrati, ma, potremmo dire, centrati, capaci di essere esattamente qui ed esattamente ora, istante dopo istante.

Così anche se le parole che Patanjali usa, e che ritroviamo nella descrizione del nostro percorso, sono diverse e ben connotate, l’impressione è che siano intimamente legate, e che non possano darsi una senza l’altra. Che non procedano per tappe come ci aspetteremmo, ma si diano tutte, insieme, allo sguardo, come le sfaccettature di un prisma.

Con i nostri brevi testi non abbiamo alcuna pretesa di esaurire quanto si potrebbe dire sugli Yoga Sutra e sul percorso che Patanjali ha definito come Ashtanga Yoga. Non vogliamo in alcun modo arrivare a qualcosa di definitivo. Vorremmo piuttosto far sorgere delle domande, accompagnare lo sguardo che respiro dopo respiro diventa più nitido, capace di cogliere, di intuire. Di dirsi. Capace di essere, pienamente, vivo.

Quello che però sappiamo con certezza è che il punto di partenza, ora come centinaia d’anni fa, è il riconoscimento della nostra comune condizione di sofferenza. Al riconoscimento segue il desiderio di superarla, o di trasformarla, dandole un senso. Il difficile momento che stiamo vivendo ci porta a relazionarci con la precarietà della nostra esistenza. E proprio in questo momento anche il solo sfiorare la possibilità di una dimensione così vertiginosamente vasta della vita può essere più che uno svago.
Può essere un dono.

 

Yoga la via dell’esserci è un articolo curato da Virginia Farina per le insegnanti della Scuola di Yoga Centro Natura

Leggi i precedenti:  AsanaYoga e EticaYama, la relazioneNiyama, la nostra relazioneIl respiro dello Yoga 

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