La dimora della saggezza. Percorsi sulle opere di Raimon Panikkar.
A cura di Virginia Farina per il Centro Natura.
Da ormai qualche anno, prima della pausa estiva, ci piace concludere il nostro ciclo di articoli con un invito alla lettura. È un modo per tenere vivo il filo della nostra pratica anche durante le vacanze, facendo tesoro di quegli spunti e quelle suggestioni che un buon libro può regalarci.
Quest’anno abbiamo pensato che un libro soltanto è troppo poco per presentarvi l’autore che vorremmo farvi conoscere, per questo proveremo a lasciarvi qualche traccia di percorso perché possiate incuriosirvi e magari proseguire la ricerca per saperne di più.
L’autore di cui parliamo è Raimon Panikkar, filosofo e teologo, nonché sacerdote e scrittore di cultura indiana e spagnola, venuto a mancare nel 2010. Figlio di madre catalana e padre indiano, Panikkar ha vissuto sulla sua pelle il delicatissimo incontro tra lingue e culture diverse, oltre che tra differenti visioni spirituali, in particolare quella cattolica e quella indù.
Panikkar riconosce con estrema consapevolezza le differenze radicali delle tradizioni da cui ha origine, ma non ne fa mai linea di frattura. Di sé diceva: “Non mi considero mezzo spagnolo e mezzo indiano, mezzo cattolico e mezzo indù, ma totalmente occidentale e totalmente orientale”.
Non sceglie scartando una delle due culture, non separa. Piuttosto integra, fa sintesi, tentando per tutta la sua vita un dialogo che apre nuove direzioni di ricerca anche nelle realtà che lo circondano, creando e rafforzando molti movimenti di intercultura sia dentro che fuori la Chiesa. Il suo pensiero avrà una notevole influenza anche nel nostro paese, che visita nella sua vita numerose volte.
A lui è stato dedicato, tra l’altro, anche un interessante documentario di Werner Weick e Andrea Andriotto, Raimon Panikkar – L’arte di vivere, che permette di ascoltare dalla sua stessa voce il racconto della sua vita e delle sue riflessioni.
Per i nostri allievi storici Panikkar non è un nome nuovo. Chi si è formato o ha gravitato intorno al Melograno e alla Scuola di Pace di via Lombardia, partecipando ai numerosi incontri con Lino Colombi o con don Arrigo Chieregatti, ricorderà di quella stagione entusiasmante in cui si parlava di spiritualità attraverso chiavi di lettura interdisciplinari, interculturali e interreligiose.
Quell’eredità, anche se oggi più silenziosa e meno visibile, continua a essere generatrice di percorsi importanti. Ed è per questo che, ora, vorremmo condividerne una parte con voi
Fare dimora alla saggezza.
Per permettere a tradizioni così lontane di incontrarsi e comprendersi reciprocamente è necessario smontare una ad una le parole fondamentali che le definiscono, così da ritrovare in quel cuore silenzioso che è al centro di ogni esperienza umana, il senso in cui è possibile rispecchiarsi, riconoscersi. Panikkar, come ogni grande filosofo, procede proprio così, destrutturando i termini fondanti della sua visione e connettendo insieme, a volte in modo vertiginoso, i testi sacri di diverse tradizioni, come i Veda o le Upanishad, o il Dhammapada del Canone buddhista pali, o i Vangeli canonici del Cristianesimo. In Panikkar le grandi religioni si parlano senza per questo perdere di autonomia e di profondità, e ciò che fiorisce da questo dialogo è un sentire di profonda e umana saggezza, un sapere che non è mai somma erudita di conoscenze, ma sapienza viva e operante nel mondo.
Nel suo libro intitolato “La dimora della saggezza”, edito nel 2005 da Mondadori e ristampato nel 2011, oggi purtroppo quasi introvabile, Panikkar sintetizza questo percorso di saggezza, lasciandoci pagine memorabili.
Cos’è la saggezza? Quale valore può ancora avere nel nostro mondo che sembra sempre più frammentato e sofferente?
Panikkar ci invita a ripensare la sapienza come l’incontro di sapere e sapore, come un cammino della conoscenza e dell’esperienza insieme. Qualcosa che, come lo yoga, non può essere ottenuto soltanto attraverso lo sforzo, il dominio, l’esercizio della volontà. La sapienza, la saggezza, è piuttosto un dono, un’ospitalità disarmata offerta a un senso più vasto della vita. A quel mistero che ci attraversa quando apriamo il nostro cuore dopo averlo spietrato come un campo e curato per diventare fertile.
La via per prepararci a essere dimora alla saggezza è, per lui, ripulire senza paura le parole che usiamo per farne luogo di ascolto e di silenzio. Per farne casa non nell’astratto di un pensiero, ma proprio qui, proprio ora, nella messa in gioco della nostra stessa vita. Non mirando a superare l’umano, quindi, ma a realizzarlo pienamente.
Da dove partire, allora? Dal nostro essere terra, non creature separate e appoggiate al suolo, ma fatti della stessa materia di tutto il vivente. Noi non abbiamo corpo, noi siamo corpo, ci ricorda Panikkar e ci insegna lo yoga, ed è solo nel corpo che è possibile la comprensione.
“Finché non superiamo la nostra separazione dalla materia e non saniamo la rottura, finché soltanto facciamo esercizio fisico o yoga come una tecnica e consideriamo il nostro corpo o come un nemico o come un sovrano non ci potremo realizzare come esseri umani.”
La speranza è dell’invisibile
C’è un altro libro di Panikkar che vorremmo segnalarvi, un libro più facile da reperire, sia nella versione cartacea che come e-book, ed è “La speranza è dell’invisibile” (Edizioni AnimaMundi, 2021), trascrizione del dialogo che il filosofo ebbe con Marco Guzzi in occasione della realizzazione di un programma radiofonico per Radio Due nel 1988.
Il punto di partenza di questo dialogo è la constatazione di una condizione di sofferenza diffusa e di un senso di fine che già quasi quarant’anni fa derivava dalla percezione di molteplici catastrofi ambientali e da un malessere psicologico comune. Le domande che Marco Guzzi porta a Panikkar sono molteplici. Cosa sta succedendo? Cosa sta davvero finendo? Quali significati attribuiamo al mutamento che tutto ciò presuppone? Crediamo possibile ancora un rivolgimento, un cambiamento di direzione, una svolta evolutiva? Da dove iniziare un cammino di guarigione in tutta questa angoscia paralizzante? E come?
Oggi queste domande ci risuonano non solo come estremamente attuali, ma forse ancora più urgenti e improrogabili. Ad essere in gioco è la nostra stessa umanità e il suo ruolo in questo pianeta.
Panikkar non offre risposte definitive, anche se alcune considerazioni, come la condanna perentoria di uno sviluppo tecnologico fine a se stesso e di una tipologia di ricerca scientifica orientata soltanto alla speculazione e al profitto, sono estremamente dirette e decise.
Le parole di questo libro, anche quando suonano più dure, sono per noi parole viventi che diventano capaci di orientare. Parole che ci chiedono di ridefinire le nostre concezioni di bene e di gioia, ricordandoci che, alla fine, non riusciremo a salvarci se saremo soli. “È il momento di dire: io ho bisogno della tua mano, io credente, io non credente, io cristiano, io indù, io dell’Est o io dell’Ovest.”
L’invisibile inizia, dunque, proprio dal riconoscimento dell’altro e di tutto ciò che è al di là di noi. L’invisibile è ciò che non può essere del tutto conosciuto né posseduto, ciò che sfugge a ogni presunzione di conquista, ciò che si riceve, come il silenzio, come la presenza. È ciò che, con un capovolgimento totale di prospettiva, ci chiede non più di fare, ma di fermarci e di metterci finalmente in ascolto.
Questo è, ora, anche il nostro piccolo proposito e augurio per il tempo liberato dell’estate: fermarci per ascoltare e godere dei sapori e dei saperi della nostra esperienza, coltivando quella dimensione invisibile della nostra vita che può essere la sorgente di una rinnovata forza.
Buone vacanze!
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