Intervista a cura di Virginia Farina per la Scuola di Yoga Centro Natura
Vivi felice, fortemente felice
Mariella Lancia
Virginia: Siamo alle soglie di un difficile inverno, e ora più che mai sembra necessario imparare a fare provvista di risorse, non solo materiali, ma anche, e soprattutto, interiori. Con una bellissima immagine il monaco zen Thich Nhat Hanh dice che avere cura della nostra mente e del nostro spirito nei periodi in cui siamo sereni somiglia a raccogliere la legna per l’inverno. Lo yoga è un cammino straordinario che ci insegna a coltivare le nostre risorse e al tempo stesso ad aprirci nell’accoglienza dell’inaspettato. Andando alla sua essenza quali credi siano gli elementi più importanti per una “pratica in tempi difficili”?
Mariella: Cercherò di essere sintetica. La prima risorsa è proprio quello che dici tu: l’importanza di avere un sentiero e una segnaletica. In tempi sottosopra come questi, fortunati coloro che hanno trovato una cornice di riferimento che della vita curi sia gli aspetti esterni (bahiranga) sia quelli interiori (antaranga). Non c’è solo lo yoga ovviamente.
Poi mi viene in mente una cosa che è totalmente mancata nei due anni e più di pandemia, ossia la prevenzione. Abbracciare lo yoga come stile di vita ci rende molto più resistenti rispetto a tutti i tipi di contagio, sia fisico che emotivo, ci sono studi che lo confermano.
Un’altra risorsa che ci offre lo yoga sta nel proporsi come una pratica, una disciplina. Infatti non si parla tanto di discepoli quanto di praticanti.
Abhyasa, l’esercizio quotidiano, è come una zattera che ci aiuta ad attraversare le burrasche di questi tempi. E l’altro pilastro che va sempre in coppia con abhyasa: vairagya, la capacità di vedere sì le cose che accadono ma anche di non farsi risucchiare, di prendere un po’ le distanze, che è l’unico modo per potere poi trasformare le situazioni che non vanno.
In un tempo come questo di estremismi e di polarizzazioni, lo yoga ci insegna la difficile arte della sintesi, di congiunzione degli opposti. Un solo esempio fra tanti. La perfetta postura nello yoga viene definita con questa parola: sthirasukha. È un composto che unisce due atteggiamenti apparentemente diversi, ossia stabilità, padronanza, fermezza e nello stesso tempo scioltezza, elasticità, distensione.
A me sembra che questa potrebbe essere la postura più adatta anche per attraversare questi tempi difficili.
Fra le cose più opprimenti che hanno segnato questi ultimi tempi c’è stata la paura della morte, come tutti sappiamo. E guarda caso la paura della morte è elencata fra i cinque inquinanti della nostra mente, fonti di tutte le nostre sofferenze, insieme ad attaccamento, avversione, ignoranza (della nostra vera natura) e, anche qui guarda caso, al senso dell’ego. Sono chiamati klesa che significa macchie. Che però lo yoga non si limita a elencare, ma fa seguire dalle indicazioni su come liberarsene in modo che la nostra visione ritorni limpida e verace.
Accenno a un ultimo aspetto, che sarebbe un vero toccasana per i tempi che stiamo vivendo. Nello yoga tantrico è centrale la capacità di trasformare anche le cose più negative in mezzi di “salvezza”, ossia di espansione della coscienza e di elevazione spirituale. Sempre, come dicevamo, attraverso una disciplina molto seria e rigorosa.
Virginia: Nel tuo percorso di insegnante e di donna emerge una straordinaria pienezza e una grande capacità di tessere insieme ciò che ad altri può sembrare distante, addirittura contraddittorio. Sei la testimonianza vivente di una ricerca incarnata nella complessità del quotidiano, una pratica autentica che si sviluppa all’interno della famiglia e in relazione con il mondo. Quali sono state le tappe più importanti nel tuo percorso nello yoga? Quali limiti e quali slanci hai percepito nella relazione tra pratica e vita?
Mariella: Sì, vivere le contraddizioni, soffrirle, in primo luogo dentro me stessa. Accettare il duro confronto fra quello che mi proponeva lo yoga e le incoerenze che riscontravo nella mia vita. Immergermi negli eventi anche quando sembravano confutare tutte le mie belle teorie, stare nella confusione, nel ribaltamento, attraversare… vogliamo chiamarle delle morti?
C’è un primo momento in cui ci si innamora dello yoga – o del Buddhismo o della Psicosintesi o del Vangelo – momento di luce e di grazia. Di grande entusiasmo. Questo è accaduto a me come a tanti altri.
Poi se veramente questi cammini ci penetrano dentro, si entra, come si suol dire, in crisi. La crisi può essere più o meno intensa. Mi sono accorta di come la mia vita non combaciava, ossia non c’era un bacio fra il mio sistema di vita e la ventata di pulizia e di novità che mi portavano questi nuovi cammini. Non ho dovuto fare niente. Ci ha pensato la vita a portarmi in un deserto nel quale sono stata potata, spogliata, scartavetrata, tenuta sull’orlo di un nulla di senso e di identità che ho vissuto davvero come una morte.
Poi mani, forse ali compassionevoli mi hanno riportata fuori, cambiata ma inspiegabilmente anche la stessa. Mi sono ritrovata un po’ con le ossa rotte ma rinfrescata, più disarmata, più consapevole dei miei limiti ma anche di essere sostenuta da un disegno più grande e non sempre decifrabile. Ho lasciato andare molte cose, e ho lasciato che altre cose, impensate, mi venissero incontro. Pronta a ricominciare e a risperimentare ma con meno certezze e con ritmi più lenti e distesi.
Fra i molti aspetti della mia vita passata che ho messo in discussione c’è stato anche, sì, il mio rapporto con la sessualità. È di qui che sono nati i miei libri sul sesso per ragazzi. In realtà questi libri li ho scritti per me in primo luogo, per la mia bambina interiore che questa educazione non l’aveva ricevuta e che per questo aveva molto sofferto. Come una post-educazione, che mi ha curata e riconciliata.
Virginia: Una parte importante del tuo contributo nella trasmissione dello yoga è stata nel dare nuova luce all’aspetto etico, integrandolo con risolutezza nel lavoro corporeo nel quale molto spesso si esaurisce la visione dello yoga nella nostra cultura, ma anche sottolineando con grande energia la differenza tra la sua visione di etica e la morale comune. Nel tuo percorso hai saputo toccare temi delicatissimi, come la morte e l’accompagnamento al morire, ma anche come la sessualità, rivolgendoti agli adolescenti in modo spigliato e divertente. Senza preconcetti. Tra qualche settimana terrai al Centro Natura un seminario proprio legato all’Etica dello e nello yoga. Cosa significa, dunque, per te vivere in modo etico secondo i principi che lo yoga ci trasmette e ci permette di ritrovare in noi? Credi che questi principi possano ora essere un riferimento per trasformare la crisi attuale in un’opportunità?
Mariella: Cosa significa per me: significa un confronto quotidiano, significa il travaglio di rileggere questi principi alla luce del presente e delle sfide inaudite che ci pongono questi tempi apocalittici. Significa anche porsi domande che non hanno almeno per ora una risposta. E anche ammettere di poter sbagliare nella scelta dell’azione che discende da questi principi.
Chi avrebbe potuto prevedere, per fare solo alcuni esempi, che gli umani si sarebbero trovati ad affrontare applicazioni così problematiche dell’etica (la verità, la nonviolenza, l’onestà, il giusto rapporto con la sessualità) come, per fare solo alcuni esempi, l’ingegneria genetica, la maternità surrogata, il suicidio assistito, il transumanesimo (commistione fra uomo e robotica), l’infodemia e la manipolazione dell’informazione sui mezzi di comunicazione di massa?
Negli ultimi tempi, di fronte al caos imperante, il mio pensiero sta prendendo sempre di più forma interrogativa. Le domande, anche se non hanno risposta, guidano la ricerca. Gli Yogasutra di Patanjali sono un grande generatore di domande.
E quanto alla seconda domanda, sì, sono ben convinta che questi principi, come tu dici, possano essere un importante riferimento, direi un riferimento essenziale per trasformare la crisi attuale in un’opportunità. Pensa solo alla scienza: se la scienza non viaggia di pari passo con l’etica (verità, nonviolenza, onestà, integrità) a cosa potremmo andare incontro? E pensa ai nuovi modelli (di politica, di economia, di educazione, di salvaguardia dell’ambiente). Fossero anche i più belli e i più illuminati: se la gente che li applica non è etica, non funzioneranno mai.
Il problema è: l’etica yogica va aggiornata di fronte agli scottanti dilemmi che ci pone la contemporaneità? E soprattutto, dietro il travaglio di confrontarsi con questi principi nel tempo e nello spazio cambiandone le interpretazioni e ammettendo anche il rischio di sbagliare: esiste comunque una dimensione assoluta da cui scaturiscono i principi etici e a cui ci possiamo riallacciare?
Questo sarà uno dei quesiti a cui lavoreremo nel seminario di ottobre.
Virginia: Ci sono parole di cui abbiamo fortemente bisogno, e che al tempo stesso sono a volte difficili da pronunciare, e due di queste sono spiritualità e religione. Nel tuo libro “Aprire agli occhi all’invisibile” tracci una possibilità di avvicinamento a quel sentire umano profondo che ci connette con ciò che i nostri occhi non possono vedere, e ci mostri come attraverso percorsi diversi, dall’arte alla scienza, dalle religioni monoteiste al buddhismo, si possa coltivare la nostra ricerca di senso. Anche la tua testimonianza cristiana appare in questa prospettiva davvero illuminante. Le tue parole trasmettono una fiducia radicale nell’uomo e nelle diverse vie che ci permettono di cogliere, o forse di essere colti dal mistero, da quell’invisibile che anche nelle situazioni più difficili sembra tracimare dalle nostre paure per aprire inaspettati varchi di libertà. Come può lo yoga coltivare questa fiducia?
Mariella: Mi fa piacere che tu abbia letto il mio ultimo libro appena uscito. Che si raccorda molto bene al titolo che hai scelto per questa conversazione, Provviste per l’inverno. Infatti senti come ho annunciato l’uscita di questo libro sulle reti sociali:
“Nel crollo di tante certezze e nella stretta angosciante dei tempi, continuo come una formichina a mettere da parte cibo per i tempi che verranno, cibo per i nostri ragazzi che, come dice il pedagogista Fabio Alessandri, soffrono di “malnutrizione animica e spirituale”.
Certo che lo yoga può contribuire. Infatti l’ho inserito fra i grandi Maestri di spiritualità nel capitolo La via maestra dello Yoga. Ne ho le prove. Diversi dei miei allievi di yoga che si erano allontanati dalla religione (intesa in senso istituzionale) hanno riscoperto la spiritualità proprio grazie allo yoga. Che infatti è una via laica, almeno lo yoga classico a cui fanno riferimento la maggior parte delle scuole italiane.
Pensa solo che nel testo fondante Yogasutra di Patanjali non compare mai il nome “Dio” se non nell’accezione di Isvara che non corrisponde al nome di una qualche divinità ma sta a monte delle varie divinità. Infatti è un nome comune che significa signore, e più alla lettera “colui che compie interamente la propria volontà”.
Virginia: Infine una domanda aperta, una pagina bianca su cui tracciare un messaggio da mettere in bottiglia per attraversare il mare: quale eredità di comprensione credi sia fondamentale lasciare al mondo di domani?
Mariella: Sempre tratto dallo yoga? Di getto, mi viene questo, che però non è solo dello yoga, ma oserei dire di tutte le più importanti vie spirituali. Solo quattro parole che riassumono il lungo viaggio, per dirlo con le parole di una bella canzone, dalle tenebre alla luce: da asmita a yoga ossia dalla mente egocentrata e dunque bellica, separata e difesa, alla mente relazionale ossia capace di entrare in relazione e di congiungersi (yuj-) agli altri (Yama), al proprio sé (Niyama) e all’assoluto (Samadhi). Al punto in cui siamo non è un optional, ma una scelta obbligata, una necessità di sopravvivenza. Lo yoga ci può aiutare molto in questo.
Scuola di Yoga Centro Natura