Yoga e ricerca medica: prospettive di una visione integrata tra medicina e pratica dello yoga
a cura di Virginia Farina per la Scuola di Yoga del Centro Natura
Sono passate appena poche settimane da quando abbiamo ripreso i nostri corsi e ritrovato, dopo un po’ di vacanza, l’impegno e il piacere di una lezione di yoga; e probabilmente per molti e molte di noi questa ripresa è stata uno degli appuntamenti più attesi del nuovo anno lavorativo e scolastico.
Più cresce la nostra esperienza nella pratica e più ci accorgiamo di quanto essa sia importante per il mantenimento di una condizione di equilibrio e di stabilità nella nostra vita. Potremmo dire, da un certo punto di vista, che lo yoga ha a che fare con la cura della nostra salute, intendendo la salute non soltanto come l’assenza di malattie, ma come una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale, per usare la definizione coniata nel 1946 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Da decenni la stretta correlazione tra yoga (inteso non solo come pratica di posizioni, ma come percorso unitario di corpo, respiro e mente) e salute è riconosciuta nell’ambito delle medicine cosiddette alternative, oggi chiamate in maniera più ‘accogliente’ complementari, e questo ha portato, a volte anche in maniera forzata e non corretta, a parlare di una vera e propria “yoga terapia”. Più recentemente, però, anche la medicina tradizionale ha iniziato a interessarsi a discipline come lo yoga, la meditazione, il tai chi ed altre pratiche integrate di mente e corpo, studiando la loro ricaduta in ambito clinico e arricchendo così le prospettive di prevenzione, diagnosi, terapia e sollievo rispetto ad alcune delle patologie più diffuse, dalle malattie cardiovascolari a quelle oncologiche. Questo interesse accompagna un processo di rinnovamento più ampio della medicina, che ha rimesso in discussione l’approccio medico-centrico tradizionale fondato sullo studio analitico dei sintomi e della farmacologia che tendeva a una visione il più possibile oggettiva sia della malattia che della cura. Le nuove generazioni di medici e ricercatori, all’Estero ma anche in Italia, stanno aprendo ora prospettive differenti, per le quali al centro della relazione di cura è il paziente in tutta la sua complessità; questo atteggiamento genera una nuova visione della medicina, in cui la vita intera, intesa come stili alimentari e comportamentali, ma anche relazionali e sociali, è parte integrante di ogni approccio preventivo o terapeutico.
Yoga e medicina
Proprio nel solco di queste ricerche si è tenuto all’Università di Bologna lo scorso fine giugno il simposio “Yoga in Medicine”, organizzato dalla Prof.ssa Maria Giovanna Gandolfi, dove docenti, medici e ricercatori hanno presentato studi clinici, riflessioni ed esperienze dirette di un nuovo approccio integrato alla medicina. Superando la dicotomia tra tradizionale e alternativo, si è dialogato, a partire da più punti di vista, sulla possibilità di una “via di mezzo” che sia al tempo stesso fondata su ricerche scientifiche ma anche aperta all’evidenza di quei benefici che fino a qualche decennio fa la scienza considerava appena effetti placebo. Anche l’Università di Bologna ha aperto alla ricerca e all’applicazione in ambito medico-scientifico di saperi e pratiche che, come la meditazione e lo yoga, sono ormai diventati patrimonio di milioni e milioni di persone in tutto il mondo (si stima che i praticanti di yoga in Italia siano almeno 2 milioni, di cui il 70% donne).
Il simposio, rivolto principalmente a medici, studenti e ricercatori, ha visto anche una buona partecipazione di praticanti e insegnanti di yoga, tra cui alcuni della nostra Scuola. Per quanto gli ambiti accademici siano profondamente differenti da quelli di un centro di yoga, l’arricchirsi di prospettive può creare connessioni e integrazioni nei diversi ambiti, ampliando le ricadute che la disciplina dello yoga può avere sia a livello individuale che collettivo. Abbiamo, così, pensato di riportare qui sinteticamente alcuni dei passaggi più significativi del simposio per condividerli con i nostri allievi e colleghi, invitando chi lo desidera ad approfondire ulteriormente attraverso i canali di ricerca dedicati.
A presiedere alla giornata di studi è stata la Prof.ssa Gandolfi, del Dipartimento di Scienze biomediche e neuromotorie (Dibinem), docente e praticante di yoga da oltre 20 anni, che ha innovativamente inserito lo yoga nella sua attività didattica universitaria, promuovendone l’ingresso in ambito accademico come terapia integrativa in medicina. Come lei altri relatori si sono dichiarati praticanti da tempo, aspetto non secondario nella ricerca, perché difficilmente lo yoga può essere compreso solo scientificamente, ma deve essere vissuto come esperienza personale. Come ha ricordato nella sua relazione il Prof. Saverio Marchignoli, docente di filosofie, religioni, storia dell’India e dell’Asia centrale all’Università di Bologna, lo yoga che pratichiamo oggi è uno yoga moderno, con forme e scopi differenti dallo yoga più antico che si rivolgeva agli asceti ed aveva come fine ultimo la liberazione dalla sofferenza e l’interruzione del ciclo di nascita e morte. Oggi lo yoga è una disciplina accessibile a tutti e, pur avendo uno spiccato accento sull’aspetto posturale, continua a tenere viva, almeno lì dove viene trasmesso con serietà e rigore, una profonda ricerca meditativa.
Il simposio è poi proseguito con diversi interventi che hanno spaziato dallo studio sugli stati meditativi alla ricerca sugli effetti dello yoga nidra, alle riflessioni sull’importanza dell’empowerment dei pazienti. Un esempio importante di quest’ultimo aspetto è emerso nell’ambito delle cure delle malattie cardio-vascolari, dove la modifica dello stile di vita dei pazienti è un aspetto cruciale della terapia. Si è osservato che per molti pazienti la richiesta di fare più movimento fisico e di cambiare la propria dieta si rivela difficile se non impossibile da attuare, perché comporta uno stravolgimento importante delle abitudini personali. Per chi fra i pazienti, invece, inizia a praticare yoga questi cambiamenti avvengono in maniera più spontanea, come sviluppandosi in un percorso naturale di autoeducazione che si fonda sulla sensazione di “stare meglio”.
Segnaliamo, ancora, l’interessantissima lectio magistralis del professor Sat Bir Singh Khalsa della Harvard University che ha permesso di estendere lo sguardo alle ricerche ed alle esperienze estere, confermando alcuni risultati importanti nella gestione dello stress come nei disturbi del sonno e dell’ansia. Lo yoga, ha spiegato, favorisce una regolazione spontanea di parametri fisici come la pressione sanguigna, ma anche di fattori percettivi come quelli che aumentano gli stati di consapevolezza.
Alcuni dati delle ricerche presentate al simposio universitario
Pur sviluppate in ambiti diversi, le varie ricerche hanno presentato alcune evidenze comuni che, se da un lato confermano quella che è l’esperienza dei praticanti, dall’altra aprono a nuove possibilità di interventi di integrazione dello yoga in ambiti non tradizionali. Tra i benefici principali che sono stati riportati ci sono, come abbiamo visto, quelli collegati all’autoregolazione nella gestione dello stress, sia rispetto a fattori clinici che ambientali, principalmente riferiti a maggiori possibilità di rilassamento e al miglioramento della qualità della respirazione. Sono state, inoltre, registrate modifiche importanti sia durante che dopo la pratica nel volume dell’irrorazione sanguigna del cervello, e ciò sembra costituire la base di alcuni cambiamenti della struttura cerebrale stessa e in particolare delle aree responsabili della percezione del dolore. Si parla di effetti epigenetici, che si manifestano a livello profondo nell’espressione o meno di alcuni tratti del nostro patrimonio genetico. Lo yoga e la meditazione mettono in atto vere e proprie trasformazioni chimiche che agiscono sugli enzimi coinvolti dai meccanismi epigenetici come, ad esempio, a livello dei marcatori delle infiammazioni. Le terapie integrate mente e corpo, dunque, non si limitano a contenere o contrastare i sintomi di una malattia, ma agiscono più profondamente nelle sue stesse possibilità di manifestazione, influenzando l’espressione stessa del nostro codice genetico, quindi delle tendenze di cui siamo portatori.
Questi studi ci permettono, anche come praticanti, di guardare da un altro punto di vista a ciò che accade al nostro corpo e alla nostra mente durante la pratica, nel breve e nel lungo termine. Lo yoga può essere considerato come un insieme di pratiche che coinvolgono posizioni, respiro, rilassamento e meditazione: partendo da questa definizione ne sono stati studiati i suoi effetti su quattro diversi livelli, tutti fondamentali per la costituzione di una condizione di benessere. Il primo livello è quello del “fitness”, ovvero del benessere corporeo, dove è stato dimostrato un accrescimento di flessibilità, forza, equilibrio e coordinazione, ma anche della qualità respiratoria. Sul piano dell’autoregolazione, invece, si è visto che lo yoga è di ausilio nella regolazione emotiva e dello stress, così come nello sviluppo delle capacità di resilienza e di visioni più equanimi, ovvero meno auto-centrate, delle problematiche nei vissuti soggettivi. A livello mentale è stato riscontrato un aumento significativo dei tempi e della qualità dell’attenzione, così come della consapevolezza e della concentrazione, fattori che concorrono a un potenziamento dei processi tanto cognitivi quanto metacognitivi. Infine, è stato osservato come queste pratiche abbiano un ruolo importantissimo nello sviluppo di quel piano che possiamo definire spirituale e che ci permette di accedere a una visione più unitaria della realtà e a una relazione di senso con la vita, che aprono a esperienze di trascendenza, di “flusso” e trasformazione. Questi quattro livelli ci permettono di sviluppare le nostre potenzialità umane in tutta la loro ampiezza: partendo da una condizione basilare di salute fisica e mentale, per potenziare la corporeità ma anche quegli aspetti che condizionano sia il nostro benessere che i nostri comportamenti sociali, fino a rifondare i nostri valori e il senso profondo che diamo al nostro essere al mondo. Niente di completamente nuovo, forse, ma che ora anche la scienza convalidi ciò che lo yoga insegna da tempo, non può che rafforzare la fiducia in questo percorso.
Uno dei contributi più importanti di queste ricerche è un cambiamento di paradigma rispetto a ciò che intendiamo come prevenzione: non più soltanto riduzione dei fattori di rischio, ma insieme di saperi e pratiche che portano al rafforzamento dei fattori di benessere. Questo significa, d’altro canto, che per stare bene non basta assumere una pillola o fare qualche sporadico controllo; il coinvolgimento e l’impegno personale sono fondamenti di una cura che si espande ai diversi ambiti della nostra vita. Vale allora la pena chiederci che significato ha anche per noi parlare di qualità della vita, e in che relazione è la nostra pratica con i vari aspetti fisici, ma anche emotivi e mentali del nostro vivere.
Un augurio di questo nuovo anno di pratica insieme potrebbe allora essere questo: che la pratica sia per noi un tempo non per curare, ma per avere cura, per coltivare in noi quelle condizioni che ci permettono di stare bene al mondo. Senza aspettarci miracoli, certo, ma avendo fiducia in quel coinvolgimento profondo e radicale che giorno dopo giorno, lezione dopo lezione, ci permette di ritrovarci sul tappetino come nella vita più accoglienti, spaziosi e… “sani”.