sulle onde del respiro

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Sulle onde del respiro: spunti per una riscoperta del respirare.

 

Entrare in contatto con il respiro significa diventare saldamente delicati.

Non catturare il respiro, non fargli la posta, ma avanzare con rispetto e avvicinarlo con cura, come faremmo con un essere selvatico rimasto a lungo solo.

Chandra Livia Candiani, da Il silenzio è cosa viva, Einaudi 2018

 

Tutta la nostra vita è inscritta, letteralmente, nel respiro: dall’inizio alla fine. Siamo vivi perché e finché respiriamo, e se non ci sono particolari problemi di salute difficilmente ci occupiamo della nostra respirazione. Ma siamo sicuri che sia sufficiente essere vivi per respirare pienamente? In altre parole, siamo sicuri di stare davvero respirando?

Prima di proseguire in questa lettura vorremmo chiedervi di fermarvi, ora, giusto qualche istante. Se vi è possibile prendete una posizione comoda, con gli occhi chiusi o semplicemente con lo sguardo aperto e non concentrato su un oggetto particolare. Riuscite a percepire il vostro respiro? Potete contattarlo nel corpo? Dove e come lo riconoscete? Che ritmo e che profondità ha in questo momento? Quale sapore lo accompagna? È un respiro affannato o disteso, teso o rilassato?

Avvicinandoci al nostro respiro, facendo amicizia con esso, ci accorgiamo immediatamente che non sono tanto le cose che sappiamo su di esso a “illuminarlo”, quanto ciò che in modo diretto, con un contatto di prima mano, riusciamo a scoprire.

Una prima e non scontata scoperta che possiamo fare è quella dell’anatomia del respiro. Con un po’ di attenzione ci accorgiamo di come esso non avvenga soltanto a livello polmonare. Il suo movimento coinvolge, infatti, ampie zone del torace e dell’addome attraverso l’attivazione dei muscoli addominali, intercostali e del grande muscolo involontario del diaframma, che nel suo rilassarsi e contrarsi permette lo svuotarsi e il riempirsi dei polmoni. Ascoltando ancora più in profondità possiamo scoprire che anche altre fasce muscolari sono interessate dalla respirazione, come ad esempio quelle della zona perineale o delle spalle e del collo, che, con la loro rigidità o attraversabilità, permettono una minore o maggiore ampiezza del respiro. Persino il viso, con la sua muscolatura complessa e fortemente interconnessa, ha un ruolo nella respirazione, di cui è la prima soglia non solo a livello delle narici ma anche della bocca e della gola, altri luoghi spesso abitati da diverse tensioni. Realizziamo, così, come il respiro sia un atto globale che coinvolge il nostro organismo per intero, sia per quanto riguarda il suo movimento che per quello che è il suo fine: ossigenare ogni cellula e permettere il ricambio di anidride carbonica e “scarti” dei processi vitali.

Una volta osservato il respiro e la sua pulsazione un’altra evidenza inizia ad emergere, a volte con il sapore di una sorpresa. Il respiro è soggetto alla nostra volontà solo fino a un certo punto. Potremmo dire che il respiro avviene quasi a dispetto di noi, che possiamo fermarlo e controllarlo ma solo fino a un certo punto e a certe condizioni. Questo perché la respirazione coinvolge, come abbiamo visto, muscoli volontari e involontari, appoggiandosi dunque alle connessioni neuronali sia del sistema nervoso somatico, responsabile delle risposte volontarie, che di quello autonomo, che lavora a livello involontario nella pulsazione tra stimoli simpatici e parasimpatici. Questa è una caratteristica pressoché unica per una funzione vitale, se pensiamo che tutto ciò che ci tiene in vita, dal battito del cuore ai processi digestivi o riproduttivi, avviene ad un livello dove la nostra volontà ha ben poca rilevanza. Il respiro dunque è un ponte sottilissimo tra funzioni vitali primarie e parti “più evolute” del nostro sistema nervoso, ed è questa una delle ragioni per cui esso si muove sia su un piano incosciente (non è necessario sapere che stiamo respirando per respirare) che cosciente, per cui possiamo sentire e osservare con estrema raffinatezza ogni singolo atto respiratorio. E qui un’altra piccola comprensione può sorprenderci. Come osserviamo il respiro? Da dove lo vediamo? O meglio ancora come si fa osservare il respiro?

Man mano che diventiamo esperti ci accorgiamo che osservare il respiro senza intervenire, senza giudicarlo e quindi senza modificarlo è davvero difficilissimo. Come ci suggerisce la poetessa Chandra Livia Candiani il respiro si rivela essere una creatura selvatica che possiamo avvicinare solo a condizione di non disturbarla. Entrare davvero in relazione con esso ci porta così a un cambiamento radicale del nostro sguardo e della nostra postura, chiedendoci di passare da un esercizio di controllo a un esercizio di presenza. Ed è qui che il respiro ci apre le porte della meditazione, diventando filo prezioso che ci conduce non solo all’interno di noi ma che continuamente ci cuce al qui ed ora della nostra esperienza.

Quando ci accorgiamo che la qualità del nostro respiro è così profondamente connessa alla qualità della nostra vita sorge spesso il desiderio di lavorarci per renderlo più ampio, profondo, aperto. Ma ci rendiamo presto conto che ogni intervento, se forzato, ha un effetto superficiale e temporaneo, a volte addirittura controproducente. Prima di ogni tecnica, dunque, è necessario imparare ad avvicinarci con gentilezza e rispetto al respiro, che non è mai un respiro astratto ma è proprio questo respiro qui, adesso, questo fiato che ci abita e ci attraversa. Per questo il primo passo è conoscerlo, liberandolo dalle morse delle nostre tensioni, partendo dal corpo. Come lo yoga ci insegna.

Una volta che il respiro, proprio come un corso d’acqua, trova una via più sgombra per procedere possiamo allora guardarlo con maggiore attenzione ai dettagli: quanto dura un inspiro? Quanto un espiro? Ci sono spazi tra una fase respiratoria e l’altra? E se ci sono a cosa assomigliano? Sono luoghi asfittici o ampi come le anse nei quali riposano i fiumi?

Poco a poco possiamo poi iniziare ad accompagnare questo corso, con la precisione e la gioia dei surfisti che cavalcano le onde, o di chi si lancia con maestria tra le rapide dei torrenti. Uno dei primi elementi che possiamo quindi inserire all’osservazione è l’allungamento dell’espiro, anche attraverso l’emissione di un suono.  Espirare profondamente significa permetterci di ripulire in profondità i polmoni, e al tempo stesso di liberare spazio interno. Ma perché però ci è così difficile farlo? Perché il nostro accento va molto più facilmente all’inspiro? Cosa accade quando lasciamo che quest’ultima fase avvenga in modo più spontaneo?

Procediamo in questo percorso di riscoperta del nostro respiro per piccoli passi, tra osservazioni e domande, come in un terreno nuovo e sconosciuto, pur ritrovandoci in uno dei luoghi a noi più vicini e familiari. Accorgendoci che ogni apprendimento ha sempre una ricaduta profonda nel nostro stesso modo di essere al mondo.

Imparare a respirare di nuovo, allora, somiglia più che a un esercizio ben eseguito a un lasciar andare, a ricreare quelle condizioni di un vuoto accogliente e spazioso che ci rende di nuovo capaci di ricevere e abitare il respiro. Come cosa viva.

 

Testo curato da Virginia Farina, insegnante di Raja Yoga per la Scuola di Yoga Centro Natura

 

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